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dolce d’intimità come questa, probabilmente la nostalgia che voi dite si farebbe sentire. Così....

— In questo caso — disse il curato — io mi auguro di poterla rivedere sovente.

— Grazie: lei ama più me che la mia macchina, vuol dire.

— Sì, lo confesso, sì. Sento per lei qualcosa che va oltre l’ammirazione, un interessamento che mi fa desiderarle meno gloria e più felicità.

Oh come avrebbero volontieri sottoscritto alle parole dello zio i grandi occhi color di cielo!

Quel signore così celebre, così glorioso, così forte, così audace, che tutto il mondo ammirava, che avrebbe potuto legittimamente cingersi d’orgoglio e di alterezza, era invece così semplice e buono! E non doveva essere felice no, perchè il suo sorriso era sempre triste e la sua fronte chiusa da un suggello di malinconia.

Lo zio aveva ragione di desiderargli maggior felicità e meno gloria. Aveva ragione d’invitarlo a rimanere ancora alla canonica. Perchè se ne andava se era vero che qui si trovava tanto bene? E dove se ne andava?

— A Genova, — aveva detto lui.

Chissà dov’era Genova! Marguerite sapeva soltanto che era una città lontana, lontana, sul mare.

Ma ignorava che cosa fosse una grande città, ella che non era mai andata più lontano di Sion e il mare si sforzava di concepirlo immaginando moltiplicato all’infinito e senza sponde il letto del Rodano contemplato appunto a Sion.

E che avrebbe fatto Ettore Noris a Genova poichè non possedeva nè casa nè famiglia? Marguerite non sapeva concepire come si potesse vivere senza famiglia e senza casa, come si potesse essere soli soli al mondo, senza nemmeno uno zio o un fratello o una sorella. Lei che pure era orfana, aveva una sorella in collegio a San Maurizio e un fratello in seminario a Friburgo e il suo caro zio curato e un’altra zia