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pericolo, le emozioni e le trepidazioni colla semplicità e la sobrietà che gli erano naturali perchè rispondevano alla serenità e alla calma sovrana del suo spirito.
Quel racconto, se valse anche a vincere e a scuotere lo scetticismo professionale degli intervistatori, portò al colmo l’entusiasmo ammirativo del buon curato.
Adesso, egli guardava Noris come un essere soprannaturale e non rifiniva dal proclamarsi fortunato per aver avuto l’onore e la ventura di poterlo ospitare.
Più tardi venne il medico, quando già i giornalisti si erano congedati per ripartire colla posta della sera che doveva ricondurli a Sion. Col suo consenso, venne deciso che Ettore Noris sarebbe ripartito l’indomani mattina ma non col suo Blériot. Le difficoltà che una partenza coll’aereoplano avrebbe presentato erano tali che Noris vi rinunziò sopratutto in vista del tempo che avrebbe dovuto impiegare per organizzare l’arrivo a Sion.
L’apparecchio, affidato alle cure dei meccanici, avrebbe raggiunto l’aviatore a Genova fra qualche giorno.
La serata trascorse dolcissima in una intimità di colloquio che soltanto Noris, il parroco, Marguerite, e Ugo condivisero. E si prolungò fin tardi nella notte. La gioia di trovarsi fra persone semplici e buone, schiette e care, rendeva eloquente Ettore Noris che si diffondeva a narrare di sè e della sua vita con un abbandono insolito.
Ugo lo guardava sorpreso un poco e intenerito per le sensazioni che indovinava nel maestro. Marguerite ascoltava e taceva, ma i suoi grandi occhi azzurri non si staccavano dal viso dell’aviatore, le cui imprese le parevano, adesso, leggende fantastiche.
A un certo punto, poichè Noris esprimeva il suo rammarico di dover abbandonare quella casa e i suoi ospiti, il curato gli propose con entusiasmo: