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tellettuale e appassionata, e l’altra ancora di una Ester che si diceva di essere signorina e ricca e libera e disposta ad offrire a Noris il suo cuore e la sua mano, e l’altra ancora d’una sentimentale inguaribile che diceva a Noris: — Che sfolgorante sogno voi sareste sull’orizzonte del mio meriggio!

— Deve avere almeno cinquant’anni questa vecchia strega! — fece Ettore ridendo di un largo e sonoro riso di fanciullo.

— Può essere, — convenne Ugo. — Ma le altre!

— Le altre sono delle povere pazze, caro Ugo.

— Senta questa che ha empito la lettera di fiori disseccati.

Si firmava Mariula l’ignota che spediva a Noris un ramoscello di verbena e un bacio per la sua fronte incoronata dalla vittoria.

— Non dice altro? — domandò l’aviatore.

— No.

— Ecco un omaggio accettabile. Non gettare la lettera.

Ugo sorrise.

— Qui, — soggiunse poi tagliando una larga busta che al tatto sentiva resistente e spessa, — qui c’è un ritratto.

— Anche?

— Già. Ecco. Dio, che bella donna!

— Vediamo. Non c’è male. E che dice?

Cominciò a leggere una lunga lettera bizzarra e appassionata rivelatrice di una certa sincerità di esaltazione attraverso l’evidente squilibrio. La lettera era firmata con un nome straniero e pregava Noris di voler accettare l’amicizia di una donna giovane e ardente che invano aveva perseguito l’ideale di un uomo che sapesse disprezzare la vita.

— Una pazza interessante, — osservò Noris.

— Risponde?

— No, butta via.

— Tutte, dunque?

— Tutte.

— Ma perchè?