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ceva Susanna? se era guarita? se ancora si lasciava amare da Kindler? se si rassegnava? se aveva già dimenticato? Chissà se aveva scritto, Susanna?
No, non aveva scritto.
Ecco, esauriti i telegrammi, Ugo apriva le lettere dando la precedenza alle più profumate e alle buste colorate. Erano tutte firmate davvero con dei piccoli nomi di donna, ma non v’era fra quei nomi, quello di Susanna.
Forse, Susanna era già guarita e aveva dimenticato. Quello che ella aveva ritenuto un sentimento profondo, era stato soltanto esaltazione e vertigine. Una sorpresa della fantasia provocata dal prestigio nuovo e non comune di un uomo eccessivamente audace. Avevano tutte la stessa origine le esaltazioni femminili che lo cercavano e lo sollecitavano: erano tutte forme vicinissime all’istinto per cui la fragilità femminile anela alla forza e la sua insita timidezza all’audacia sfrontata e il suo bisogno di dedizione alla violenza della conquista. Un aviatore o un cavallerizzo o uno schermidore o un lottatore o, in una sfera più nobile, un soldato: purchè in una qualsiasi di codeste categorie un individuo avesse raggiunto l’eccellenza e si fosse imposto al mondo e il mondo gli avesse decretato un’aureola.
Ecco, una breve lettera femminile spropositata e cinica esprimeva precisamente quel suo pensiero.
— Oh, — diceva la lettera firmata Elsa, — essere conquistata da voi che conquistate i cieli!
La frase era parsa meravigliosa a Ugo che rimaneva immobile col foglio aperto tra le mani, intento a osservare sbalordito l’impassibilità del suo maestro.
— Butta via, — fece Noris tranquillo. — Tieni solo quelle che esigono una risposta.
Veramente, una risposta l’avrebbero voluta, tutte quelle lettere: quella di una Manon che si diceva giunonicamente bella, bianca e biondissima; e l’altra d’una Ines che si proclamava in-