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— No, no, non ha dormito sempre: è stato sveglio anche, ma non se ne rammentai di certo. Era così stanco! ha avuto un po’ di febbre anche. Sfido io, dopo un viaggio come quello! che trionfo, signor Noris, che trionfo!

Una commozione profonda e tenera traspariva dalle parole del giovinetto, dal suo viso acceso, dai suoi occhi umidi, dalla sua voce che tremava un poco.

Un’altra volta le braccia, di Noris si apersero per abbracciarlo.

— Vieni qua! tu sei proprio contento, dunque?

— Se sono contento! Mi pare ancora un sogno! Sono orgoglioso come se la traversata l’avessi fatta io!

— La farai anche tu, un giorno.

— Chissà!

— Basta volere. Bisogna volere e aver fede.

— Ah no che non basta. Bisogna anche essere lei, signor Noris.

— Eppure tu non credevi, che io riuscissi. Di’ la verità. Te l’ho letto in fronte ieri mattina, quando son partito.

— È vero. Non ho mai dubitato della sua forza, ma avevo paura che le difficoltà fossero più forti del suo coraggio. Sa..... Pensavo a Geo Chavez!

— Anche tu?

— Mi perdona, signor Noris?

— Non hai bisogno del mio perdono. Hai temuto per me, ma senza mancarmi di fede. È così?

— Così, proprio. Ma adesso, vede, se anche lei mi dicesse che col suo aereoplano vuol andare in America, io ci crederò.

Noris sorrise.

— Farai bene, — disse, — perchè io ci andrò.

Il giovinetto gli fissò in volto due occhi attoniti sino allo sgomento e poi che vide sereno, calmo, sicuro il viso del suo maestro, si chinò, gli prese la mano e la portò alle labbra.

— Aiutami a sollevarmi, Ugo, — fece Noris. — Un giorno andrò in America col mio «Blériot»,