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lieta che la sua macchina era intatta e funzionava bene.
No, non era quella una stanza da ospedale. E nemmeno era una camera d’albergo. V’era troppa pulizia e troppo senso d’intimità. I ninnoli sparsi sul cassettone, il merletto del lenzuolo, la frangia lunghissima degli asciugamani appoggiati sulla spalliera inferiore del lotto, escludevano la banalità delle stanze d’albergo.
E allora? dove si trovava? e perchè lo lasciavano solo? Adesso era impaziente di sapere.
— Bisogna chiamare, — pensò. — Ci sarà bene un campanello.
Girò il capo per cercarlo sulla parete, dietro il letto, ma non lo trovò. La parete, tutta bianca, era invece occupata da una dolcissima immagine della Madonna d’Einsiedeln. Sotto, due altri quadretti portavano quelle di San Maurizio e del beato Nicolao della Flüe.
— Ho capito. Sono ancora in Isvizzera, — pensò Noris.
Era poco, come informazione, ma era sempre qualcosa.
A un tratto, gli giunse dal fondo della stanza, oltre la tenda il rumore lieve d’un giornale spiegazzato. C’era dunque qualcuno nella stanza.
Senza indugiare, Noris chiamò:
— Chi c’è là?
Gli rispose un grido di gioconda meraviglia seguito subito dalla comparsa del suo più caro piccolo amico; Ugo.
— Tu? — fece Noris allargando le braccia.
— Io, signor Noris. S’è svegliato? come sta?
— Benissimo, io. Ma spiegami dove sono e come sei qui tu.
— Lei è ospite del curato di Evolena.
— Ah, capisco! Cioè, non capisco affatto. Cosa è successo?
— Nulla di male, signor Noris. Ieri, dopo quel meraviglioso viaggio....
Noris interruppe:
— Come, ieri? è stato ieri? E io ho dormito ventiquattr’ore?