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per questo di proporsi tali questioni, e darne una soluzione qualsiasi. Dappoiché qual cosa cercherebbesi mai nei calcoli sì lunghi e sì penosi della statistica? Per certo non si va punto a ricercarvi un’inutile imagine del passato, bensì, come in tutte le scienze sperimentali, si spera farne uscire talvolta una certezza, più spesso delle cognizioni pratiche e delle congetture motivate. Di guisa che la statistica non è essa medesima altra cosa che un calcolo delle probabilità. E il bel teorema di Giacomo Bernouilli è semplicemente l’espressione matematica di questo quesito che gli statistici rivolgono sì spesso ai geometri: Qual è il numero di fatti e di osservazioni da raccogliersi perché si possa contare sull’esattezza de’ risultati?

E così è infatti (mi permetterei per mia parte di soggiungere), né altro ella stessa significa quella maniera di dire oggidì sì frequentemente usata, che i risultati statistici, a qualunque ordine di fenomeni essi riferiscansi, tengono solo sotto la legge dei grandi numeri, che è il nome appunto del più generale teorema, che Poisson ha derivato da quello sì celebre del Bernouilli sulla probabilità risultante dalla ripetizione indefinita degli eventi.1 — Altrove il Guerry sembra limitare l’analitica in tutte le possibili sue applicazioni al solo uso delle medie. — E sia pure; ma la media perché si assume ella a preferenza d’altri valori, se non perché si stima come il valore più probabile fra i molti che risultano da osservazioni

  1. Bernouilli trattava il caso di probabilità costanti; Poisson intese trattar quello di probabilità comunque variabili; caso naturalmente più generale e di lunga mano il più importante per le applicazioni fisiche e sociali. La sua soluzione fu impugnata dal Bienaymè. L’eguale problema, ripreso dal Bienaymè stesso, ha occupato il Cournot, al capo VII della sua Exposition de la théorie des chances et des probabilités (Parigi, 1843).