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senz’altro aritmetica (politica) e aritmetica morale; salvo a differire alquanto per lo spirito e il rigore dei metodi.1 Lasciando qui pure ogni disputa della parola, e badando al concetto che s’intende significare, l’analitica verrebbe a confondersi più o men completamente, secondo l’estensione che s’intende dare al suo ufficio, con quella che potrebbesi pur dire induzione statistica, od anche in generale induzione matematica; essendo certo del pari che il metodo statistico è di universale applicazione, così nella sfera dei fatti morali, come in quella dei fatti fisici, dovunque esistano al fondo (e possano legittimamente esistere) delle serie di osservazioni ridotte a forma numerica, dalle quali abbiansi ad estrarre i risultati generali e le leggi di fatto che vi si manifestano, nonché risalire alle cause efficienti e più e più remote.

Checché si pensi del nome, parmi però ad ogni modo soverchia e non del tutto legittima quella preoccupazione dell’autore, di separare, come egli argomentasi, la sua analitica, o diremo la statistica, dal calcolo delle probabilità. — L’analitica, egli dice, non fa assolutamente alcun uso del calcolo delle probabilità; essa non ha nulla che le sia comune con questo, né per lo scopo, né per il metodo. — A ciò avea risposto la commissione dell’Accademia francese delle scienze, che ebbe a giudicare dell’opera, per bocca dell’illustre suo relatore Jules Bienaymè, in termini che giova recar testualmente: «Separarne la statistica dalla probabilità, è cosa assolutamente impraticabile. Sia che si conoscano, ovvero che si ignorino i calcoli superiori che sono richiesti dalle prime questioni di statistica, non si lascia

  1. Il torto grande dell’antica aritmetica politica stava nel voler dedurre da pochi e mal certi dati, ovvero all’appoggio di principii ipotetici o puramente speculativi.