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CLXIII
Ondeggia tra gioie e pene; né le dispiace, purché duri, il suo stato.
Quando mostra a quest’occhi Amor le porte
de l’immensa bellezza ed infinita
de l’unico mio sol, l’alma invaghita
de le sue glorie par che si conforte.
Quando poi mostra a la memoria a sorte
quelle di crudeltá mai non udita,
tutta a l’incontro afflitta e sbigottita
resta preda ed imagine di morte.
E cosí vita e morte, e gioie e pene,
e temenza e fidanza, e guerra e pace
per le tue mani, Amor, d’un luogo viene.
Né questo vario stato mi dispiace,
sí son dolci i martíri e le catene;
ma temo che sará breve e fugace.
CLXIV
«Occhi miei lassi, non lasciate il pianto...».
Occhi miei lassi, non lasciate il pianto,
come non lascian me téma e spavento
di veder tosto a noi rubato e spento
il lume ch’amo e riverisco tanto.
Pregate morte, se si può, fra tanto
che mi venga essa a cavar fuor di stento;
perché morir a un tratto è men tormento,
che viver sempre a mille morti a canto.
Io direi che pregaste prima Amore
che facesse cangiar voglia e pensiero
al nostro crudo e disleal signore;
ma so che saria invan, perché sí fiero,
cosí indurato ed ostinato core
non ebbe mai illustre cavaliero.