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i - rime d'amore | 87 |
CLVII
È merito di lui, s’ella scrive con lode.
A che pur dir, o mio dolce signore,
ch’esca frutto da me di lode degno,
a che alzarmi a sí gradito segno,
a che scrivendo procacciarmi onore,
se da quel dí, ch’entrar mi fece Amore
con l’arme de’ vostr’occhi entro ’l suo regno,
voi movete lo stil, l’arte, l’ingegno,
sensi, spirti, pensier, voglie, alma e core?
Se da me dunque nasce cosa buona,
è vostra, non è mia: voi mi guidate,
a voi si deve il pregio e la corona.
Voi, non me, da qui indietro omai lodate
di quanto per me s’opra e si ragiona;
ché l’ingegno e lo stil, signor, mi date.
CLVIII
Viva con lei una vita tutta d’amore, senz’altre cure.
Deh lasciate, signor, le maggior cure
d’ir procacciando in questa etá fiorita
con fatiche e periglio de la vita
alti pregi, alti onori, alte venture;
e in questi colli, in queste alme e sicure
valli e campagne, dove Amor n’invita,
viviamo insieme vita alma e gradita,
fin che ’l sol de’ nostr’occhi alfin s’oscure.
Perché tante fatiche e tanti stenti
fan la vita piú dura, e tanti onori
restan per morte poi subito spenti.
Qui coglieremo a tempo e rose e fiori,
ed erbe e frutti, e con dolci concenti
canterem con gli uccelli i nostri amori.