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i - rime d'amore | 83 |
CXLIX
Perdonerá ad Amore, se da lui apprenderá a placar l’amante.
Sí come tu m’insegni a sospirare,
arder di fiamma tal, che Etna pareggia,
pianger di pianto tal, che se n’aveggia
omai quest’onda e cresca questo mare,
insegnami anche, Amor, tu che ’l puoi fare,
come men duro il mio signor far deggia,
come, quando adivien che pietá chieggia,
possa placarlo al suon del mio pregare.
Ch’io ti perdono e danni e strazi e torti,
che tu m’hai fatto e fai, tanti e sí gravi,
ch’io non so come il ciel te lo comporti;
perché non fia piú pena che m’aggravi,
pur ch’io faccia pietosi e faccia accorti
gli occhi che del mio cor hanno le chiavi.
CL
È giusto ch’egli goda ed ella soffra.
Larghe vene d’umor, vive scintille,
che m’ardete e bagnate in acqua e ’n fiamma,
sí che di me omai non resta dramma,
che non sia tutta pelaghi e faville,
fate che senta almeno una di mille
aspre mie pene chi mi lava e ’nfiamma,
né di foco che m’arda sente squamma,
né d’umor goccia che dagli occhi stille.
— Non son — mi dice Amor — le ragion pari;
egli è nobile e bel, tu brutta e vile;
egli larghi, tu hai li cieli avari.
Gioia e tormento al merto tuo simile
convien ch’io doni. — In questi stati vari
io peno, ei gode; Amor segue suo stile.