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CXXIII

Egli le ha detto che, lontano da lei, non la ricorda.

     O tante indarno mie fatiche sparse,
o tanti indarno miei sparsi sospiri,
o vivo foco, o fé, che, se ben miri,
di tal null’altra mai non alse ed arse,
     o carte invan vergate e da vergarse
per lodar quegli ardenti amati giri,
o speranze ministre de’ disiri,
a cui premio piú degno dovea darse,
     tutte ad un tratto ve ne porta il vento,
poi che da l’empio mio signore stesso
con queste proprie orecchie dir mi sento
     che tanto pensa a me, quanto m’è presso,
e, partendo, si parte in un momento
ogni membranza del mio amor da esso.


CXXIV

Egli non l’ama piú.

     Signor, io so che ’n me non son piú viva,
e veggo omai ch’ancor in voi son morta,
e l’alma, ch’io vi diedi, non sopporta
che stia piú meco vostra voglia schiva.
     E questo pianto, che da me deriva,
non so chi ’l mova per l’usata porta,
né chi mova la mano e le sia scorta,
quando avien che di voi talvolta scriva.
     Strano e fiero miracol veramente,
che altri sia viva, e non sia viva, e pèra,
e senta tutto e non senta niente;
     sí che può dirsi la mia forma vera,
da chi ben mira a sí vario accidente,
un’imagine d’Eco e di Chimera.