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i - rime d'amore | 65 |
CXIII
Vorrebbe che lo stato presente fosse durevole.
Deh foss’io almen sicura che lo stato,
dov’or mi trovo, non mancasse presto,
perché, sí come or è lieto ed or mesto,
sarebbe il piú felice che sia stato.
I’ ho Amore e ’l mio signor a lato,
e mi consolo or con quello, or con questo;
e, sempre che di loro un m’è molesto,
ricorro a l’altro, che m’è poi pacato.
S’Amor m’assale con la gelosia,
mi volgo al viso, che ’n sé dentro serra
virtú ch’ogni tormento scaccia via:
se ’l mio signor mi fa con ira guerra,
viene Amor poi con l’altra compagnia,
vera umiltá ch’ogni alto sdegno atterra.
CXIV
Non riesce a scriver degnamente del suo amore.
Mille volte, signor, movo la penna
per mostrar fuor, qual chiudo entro il pensiero,
il valor vostro e ’l bel sembiante altero,
ove Amor e la gloria l’ale impenna;
ma perché chi cantò Sorga e Gebenna,
e seco il gran Virgilio e ’l grande Omero
non basteriano a raccontarne il vero,
ragion ch’io taccia a la memoria accenna.
Però mi volgo a scriver solamente
l’istoria de le mie gioiose pene,
che mi fan singolar fra l’altra gente:
e come Amor ne’ be’ vostr occhi tiene
il seggio suo, e come indi sovente
sí dolce l’alma a tormentar mi viene.