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i - rime d'amore | 53 |
XCIII
Come una cerva ferita a morte.
Qual fuggitiva cerva e miserella,
ch’avendo la saetta nel costato,
seguíta da duo veltri in selva e ’n prato,
fugge la morte che va pur con ella,
tal io, ferita da l’empie quadrella
del fiero cacciator crudo ed alato,
gelosia e disio avendo a lato,
fuggo, e schivar non posso la mia stella.
La qual mi mena a miserabil morte,
se non ritorna a noi da gente strana
il sol degli occhi miei, che la conforte:
egli è ’l dittamo mio, egli risana
la piaga mia; e può far la mia sorte,
d’aspra e noiosa, dilettosa e piana.
XCIV
Gli si arrende senza contesa.
A che, conte, assalir chi non repugna?
a che gittar per terra chi si rende?
a che contender con chi non contende?
con chi avete mai sempre fra l’ugna?
Sapete che co’ morti non si pugna;
ché lo splendor d’un cavalier offende,
e ’l vostro piú, che l’ali oggimai stende
dove non so s’altrui chiarezza aggiugna.
Guardate che la fama de le tante
vostre vittorie poi non renda oscura,
signor, quest’una sola, e non ammante.
Io per me stimerei mia gran ventura
l’esser veduta al vostro carro innante;
ma voi del vostro onor abiate cura.