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LVIII
Se sapesse dipingere e scolpire, cosí, meglio che in versi, lo ritrarrebbe.
Deh perché non ho io l’ingegno e l’arte
di Lisippo e d’Apelle, onde potessi
il viso, che per sole al mondo elessi,
dipinger e scolpir in qualche parte,
poi che non posso ben ritrarr’in carte,
com’avrian con lo stile ritratto essi,
le mie due stelle, la cui luce impressi
pria sí nel cor, che d’indi non si parte?
Perch’io rimarrei sol con un tormento
d’amar e sospirar, e ’l cor saria
d’ogni altra cura poi pago e contento:
dov’or piango l’acerba pena mia,
e piango ch’atta a pinger non mi sento
al mondo il mio bel sol quanto devria.
LIX
Come può egli veder, senza pietá, le sue lagrime?
Quelle lagrime calde e quei sospiri,
che vedete ch’io spargo sí cocenti
da poter arrestar il mar co’ venti,
quando avien ch’ei piú frema e piú s’adiri,
come potete voi coi vostri giri
rimirar non pur queti, ma contenti?
O cor di fère tigri e di serpenti,
che vive sol de’ duri miei martíri!
Deh prolungate almen per alcun’ore
questa vostra ostinata dipartita,
fin che m’usi a portar tanto dolore;
perciò ch’a cosí súbita sparita
io potrei de la vita restar fuore,
sol per servir a voi da me gradita.