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ii - sonetti 355


IV

Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga,
in morte di Estor, suo fratello.

     La morte, ognor ne I’opre rie piú ardita,
con sanguinosa falce, in atto vile,
al fratei vostro, a voi caro e simile,
troncò l’april de la sua età fiorita.
     Empia, che con si grave aspra ferita
spezzò ’l bel nodo a l’anima gentile,
che da conocchia d’òr puro e sottile
filava Cloto a cosí degna vita.
     Benché son queste alfin gravose spoglie,
che chi prima le sgombra avvien che prima
de l’umane miserie esca e si spoglie.
     Ma, s’ogni mortai ben falso si stima,
vi consoli che ’l del lo spirto accoglie,
in guisa che i suoi merti al mondo esprima.


V

Allo stesso.

     Traslata l’alma al suo natio terreno,
-che di virtú tra noi fu si feconda,
perché vena di lagrime profonda
sorge in voi da l’effetto egro terreno?
     Or nel giardin del paradiso ameno,
senza seccarsi in lei né cader fronda,
d’altri piú dolci pomi in copia abbonda,
pregna d’altr’aura, il sol via piú sereno.
     Soave di celeste ambrosia umore
pasce l’avventurosa sua radice,
non piú caduca in suo frutto, né in fiore;
     ma se in sua sorte in ciel vera beatrice
l’acerbo di qua giú pervien dolore,
nel vostro amaro pianto è meri felice.