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i - terze rime 345

     280cosi ne la virtú de l’infinito,
senza mai saziarne, ci stanchiamo,
s’al sommo bene è ’l pensier nostro unito.
     283Questa insazietá grande proviamo
espressamente, allor che l’intelletto
divin, filosofando, contempliamo.
     286Lascia sempre di sé piú caldo affetto,
ne l’affannata mente, il ver supremo,
ond’ha perfezzion Tuoni da l’oggetto;
     289benché l’affanno è tal, ch’ogtior piú scemo
del mortai fango il nostro spirto face,
e d’ir al ciel gli dá penne a l’estremo.
     292Felice affanno, che ristora e piace
ne l’unir di quest’anima a quel vero,
che gli umani desir pon tutti in pace:
     295a quel, che del suo eccelso magistero
mostrò grand’arte in queste alme contrade,
feconde del piacer celeste intiero.
     298Qui di lá su tal grazia e favor cade.
ch’abonda al compartirsi in copia molta
la gioia in ogni parte e la beltade;
     301sí che, mentre ad un lato ancor sol vòlta
gode la vista, in quel piú sempre scorge
nova maniera di vaghezza accolta,
     304né de l’una ben tosto ancor s’accorge,
che s’offre l’altra e, quasi pur mo’ nata,
meraviglia e diletto insieme porge.
     307Del giardin vago è la sembianza grata,
e, mentre in lui la maniera risguardi
d’ogni parte ben colta e ben piantata,
     310lepri e conigli andar pronti e gagliardi
nel corso vedi; e, mentre che t’incresce
d’esserti di tal vista accorto tardi,
     313ecco ch’altronde ancor vaga schiera esce
di cervi e capri e dame e d’altri tali,
onde la maraviglia e ’l piacer cresce.