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i - rime d'amore | 29 |
XLVIII
Lontana da lui, vive nel pianto.
Come l’augel, ch’a Febo è grato tanto,
sovra Meandro, ove suol far soggiorno,
quando s’accosta il suo ultimo giorno,
move piú dolci le querele e ’l canto,
tal io, lontana dal bel viso santo,
sovra il superbo d’Adria e ricco corno,
morte, téma ed orror avendo intorno,
affino, lassa, le querele e ’l pianto.
E sono in questo a quell’uccel minore:
che per quella, onde venne, istessa traccia
ritorna a Febo il suo diletto olore;
ed io, perché morendo mi disfaccia,
non pur non torno a star col mio signore,
ma temo che di me tutto gli spiaccia.
XLIX
Perché egli ritarda al convegno?
Qual sempre a’ miei disir contraria sorte
fra la spiga e la man mi s’è tramessa,
sí che la gioia, che mi fu promessa,
tarda tanto a venir per darmi morte?
Le mie due vive, due fidate scorte,
il signor mio, anzi l’anima stessa,
l’imagin, che nel cor m’è sempre impressa,
perché non batte omai, lassa, a le porte?
L’alma allargata a questa nova speme,
che ristretta nel duol prendea vigore,
mancherá tosto certo, se non viene.
E saran de’ miracoli d’Amore,
ch’un’ombra breve di sperato bene
tolga altrui vita, e dia vita il dolore.