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i - terze rime 339

     64Di lieti colli adorno cerchio serra
l’infinita beltá del vago piano,
dove Flora e Pomona alberga ed erra.
     67Quasi per gradi su di mano in mano
di fuor s’ascende ’l poggio da le spalle,
sempre al salir piú facile e piú piano;
     70quinci in giú per soave e destro calle
s’arriva a la pianura in pochi passi,
ch’è posta in forma di rotonda valle:
     73se non che in guisa rilevata stassi,
ch’è quasi, entro a quei colli, un minor colle,
che ’ntorno a lor si dispiani e s’abbassi,
     76sí che d’entrarvi a Febo non si tolle,
poco alzatosi fuor de l’oriente,
nel prato d’erbe rugiadoso e molle.
     79Entra ’l sol quanto entrar se gli consente
da un bosco d’alti pini e di cipressi,
pien d’ombre amiche al di lungo e fervente;
     82e gode di veder quivi con essi
de la sua amata in corpo umano fronde,
giá braccia e chiome, or verdi rami spessi,
     85tra’ quai quanto può penetra e s’asconde,
per la memoria, ch’anco entro ’l cor serba,
de l’amorose sue piaghe profonde.
     88De la ninfa la sorte cosí acerba
pietoso Apollo ai grati rami tira,
ed a quivi posar vago tra l’erba:
     91l’aria d’intorno ancor dolce sospira
di Dafne al caso, e spirto d’odor pieno,
le vaghe foglie ventilando, spira.
     94E ’l ciel, lá piú ch’altrove mai sereno,
fa che d’ogni stagion la copia vuote
in quella terra il corno suo ripieno.
     97Quivi con l’urne non mai stanche o vuote
a portar Tacque son le ninfe pronte,
tai che ’l cristal si chiaro esser non puote: