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XLVI
Egli torna al luogo nativo.
Alto colle, almo fiume, ove soggiorno
fan le virtuti e le Grazie e gli Amori,
dal dí che dimostraste al mondo fòri
chi fa me, chi fa lui chiaro et adorno,
asserena tu ’l fronte, alza tu ’l corno,
tu con nove acque, e tu con novi fiori,
or che fa, colmo anch’ei di novi onori,
il signor vostro e mio a voi ritorno.
E, poi che fia con voi, per cortesia
oprate sí ch’a me ritorni tosto;
ché viver senza lui poco poria.
Cosí stia ’l verno a voi sempre discosto,
cosí Flora e Pomona in compagnia
vi faccian sempre aprile e sempre agosto.
XLVII
Stanca d’aspettarlo, ella talora invoca la morte.
Io son da l’aspettar omai sí stanca,
sí vinta dal dolor e dal disio,
per la sí poca fede e molto oblio
di chi del suo tornar, lassa, mi manca,
che lei, che ’l mondo impalidisce e ’mbianca
con la sua falce e dá l’ultimo fio,
chiamo talor per refrigerio mio,
sí ’l dolor nel mio petto si rinfranca.
Ed ella si fa sorda al mio chiamare,
schernendo i miei pensier fallaci e folli,
come sta sordo anch’egli al suo tornare.
Cosí col pianto, ond’ho gli occhi miei molli,
fo pietose quest’onde e questo mare;
ed ei si vive lieto ne’ suoi colli.