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i - terze rime 329

     100Con l’acqua alfin ogni foco si smorza;
cosi la costui rabbia e l’arroganza
a quel ch’io men vorrei mi spinge a forza.
     103So ch’egli per natura e per usanza
è pessimo e vilissimo a volere
pugnar con una donna, di possanza.
     106E quasí che non porta anco il devere,
ch’ai provocar de l’armi io gli risponda,
non usa il ferro ignudo in man tenere.
     109Ma tanto piú d’audacia ei soprabonda,
quanto farmi paura piú si crede,
e con nuove insolenzie mi circonda.
     112Non so quel che in tal caso si richiede:
il parer vostro non mi sia negato,
ch’a lui son per prestar assenso e fede.
     115Io sono stata in procinto, da un lato,
di disfidarlo a singoiar battaglia,
comunque piú gli piace, in campo armato.
     118Ma dubitai che di piastra e di maglia
ei proponesse grave vestimento,
e ferro che non punge e che non taglia.
     121So ch’egli è un asinaccio a questo intento
d’assicurarsi centra i colpi crudi,
dove vi sia di sangue spargimento:
     124del resto sovra’l dorso se gli studi,
s’altri volesse ben con un martello,
come s’usa di far sopra le incudi.
     127Questo m’ha messo a partito il cervello,
ch’io non vorrei con sferza o con bastone
prender a castigar un uom si fello,
     130Non so se in ciò potessi con ragione
rifiutar armi non micidiali,
ma solamente a bastonarsi buone:
     133so ch’ei dina ch’a lui si denno tali,
e ch’io non debbo ricusarle, quando
d’ogni lato le cose vanno eguali.