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328 veronica franco

     64D’una brutta cornacchia a l’aspro grido
trassero altri uccellacci da carogne,
e di sterco l’empièr la strozza e ’l nido.
     67Quest’è proprietá de le menzogne,
che quelli ancor, che son malvagi e tristi,
versan sopra l’autor biasmi e vergogne.
     70Del mio avversario fúr primieri acquisti
sparger detti, in mia assenza, di me falsi,
da nulla veritá coperti o misti.
     73Ad ira contra lui perciò non salsi;
ma m’allegrai, quando contra ’l suo dire
tacendo col mio ver chiaro prevalsi.
     76Ben poi via piú insolente divenire
nel mio silenzio il vidi; e quasi ch’io
d’averlo fatto tale posso dire.
     79Ma qual era in quel caso officio mio,
se non quel dirmi mal dopo le spalle
non curar punto, da un uom vile e rio?
     82Troppo al giudicio mio vien che s’avvalle
il pensier di chi segue tai difretti,
c’hanno precipitoso e tetro il calle.
     85Raffrena, uom valoroso, i ciechi affetti,
e non voler opporti a ciascun’orina
de la malignitate ai falsi detti:
     88segui de la virtú la dritta norma,
che, di se stessa paga, agli altrui errori
generosa non guarda, e par che dorma.
     91Cosi fec’io, che, d’ogni dritto fuori
infamiata e biasmata da un uom vile,
mi confortai co’ miei pensier migliori:
     94e farei piú che mai ora il simile,
se per la mia pazienzia quel villano
non discendesse a via peggiore stile.
     97Ma con armata e minacciosa mano
m’importuna, e mi sfida, e quasi sforza
il pensier di star queta a render vano.