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i - terze rime 325

     205poi che ’l crudele ad altro oggetto è intento,
perché lontan da la mia patria amata
vo facendo piú grave il mio tormento?
     208Ma, se t’ho follemente, Adria, lasciata,
del cor l’arsura alleviar pensando,
dal mio danno veder allontanata,
     211I’ardor piú tosto è in ciò gito avanzando,
e con la gelosia e col sospetto
s’è venuto piú sempre riscaldando.
     214L’altrui d’amor goduto a pien diletto
per questi campi, e ’l temer che compagna
l’empio, a me, non faccia altra del suo letto,
     217e de la patria mia celebre e magna
gli alti ornamenti e lo splendor superno
qui ’l bosco odiar mi fanno e la campagna:
     220ad Adria col pensier devoto interno
ritorno e, lagrimando, espressamente
a prova del martir l’error mio scemo.
     223Ma, se ’l suo fallo scema chi si pente,
d’esser da te partita mi pentisco,
o mio bel nido, e me ne sto dolente;
     226e, dapoi che non cessa il mio gran risco
per lontananza, il meglio è ch’io mi mora
del gran dolor che per amar soffrisco,
     229senz’a’ miei danni aggiunger questo ancora,
di far da le mie cose a me piú care
per tanto spazio si lunga dimora.
     232Perch’alfin mi risolvo di tornare,
e, se non m’è contraria a pien la sorte,
se ben un’ora un secolo mi pare,
     235spero tornar in spazio d’ore corte.