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320 veronica franco

     25Non può temprar alcun dolce l’amaro
ch’io sento de l’acerba dipartita,
ch’io fei dal natio suolo amato e caro:
     28quivi lasciai nel mio partir la vita,
ch’ai piè negletta del mio crudo amante
da me giace divisa e disunita.
     31E pur tra questi fiori e queste piante
la vo cercando, e di quell’empio Torme,
ch’ovunque io vada ognor mi sta davante.
     34E par ch’io ’l vegga, e poi ch’ei si trasforme
or d’un abete, or d’un faggio, or d’un pino,
or d’un lauro, or d’un mirto in varie forme;
     37parmelo aver negli occhi da vicino,
e le mani a pigliarlo avide stendo,
e la bocca a basciarlo gli avicino:
     40in questo lo mio error veggio e comprendo,
ché, da Timaginar e da la speme
delusa, un tronco o un sasso abbraccio e prendo.
     43Se cantando posar gioiosi insieme
duo augelletti sopra un ramo veggo,
con quel desio, ch’Amor dolce al cor preme,
     46del mio misero stato, e piú m’aveggo
che col rimedio de la lontananza,
dov’altri non m’aita, invan proveggo.
     49Stan pur duo uccelli in lieta dilettanza,
godendo di quel bene unitamente,
ch’ai lor desire agguaglia la speranza:
     52ne le selve e nei boschi Amor si sente,
dal consorzio degli uomini sbandito,
tra i bruti, i quai pur s’aman parimente;
     55un concorde voler al dolce invito
de la gioia d’amor le fiere tragge,
con affetto in duo cori egual partito;
     58per monti e valli e selve e lidi e piagge,
quinci e quindi congiunta in modo stretto
coppia sen va di due bestie selvagge: