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i - terze rime 317

     28Tanta rena non han d’Adria le sponde.
quante volte il suo nome allor chiamai,
com’or qui ’l chiamo, ov’Eco sol risponde.
     31Co’sospiri arsi e col pianto bagnai
l’amate spoglie, e di lui in vece accolte
al seno me le strinsi e le basciai,
     34dicendo: — O spoglie, che giá foste avvolte
intorno a quelle membra, che da Marte
sembrano in forma di Narciso tolte;
     37se ’l ciel mi riconduce in quella parte
onde stolta parti’, non sará mai
che quinci ’l fermo piè volga in disparte. —
     40Non fu pietra né pianta, ov’io passai,
che non piangesse meco, e forse allora
non mi dicesse: —Folle! ove ne vai? —
     43Dal cerchio estremo, ove fan la dimora
scintillando le stelle, certamente
meco pianger mostrár la notte ancora.
     46Ben vidi ’l sol levar chiaro e lucente;
ma, perché gli occhi ad abbagliarmi e ’l core
un piú bel lume impresso avea la mente,
     49scorso del sol mi parve lo splendore;
o fu, forse, ch’udendo ’l mio gran pianto,
anch’ei si scolori del mio dolore.
     52Oh com’è privo d’intelletto, e quanto
colui s’inganna, che nel patrio nido
viver può lieto col suo bene a canto,
     55e va cercando or l’uno or l’altro lido,
pensando forse che la lontananza

ai colpi sia d’Amor rifugio fido!
     58Fugga pur l’uom, se sa: la rimembranza
del caro obbietto sempre gli è d’intorno,
anzi porta in cor viva la sembianza.
     61S’io veggo l’alba a noi menar il giorno,
mirando i fiori e le vermiglie rose,
che le cingon la fronte e ’l crin adorno,