Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
26 | gaspara stampa |
XLII
Amore le promise pace, e diede tormento.
Tu pur mi promettesti amica pace,
Amor, il dí che tua serva divenni,
mostrandomi i begli occhi, i guardi e i cenni,
ove tua madre alberga e si compiace.
Ed or, quasi signor empio e fallace,
poi ch’una volta il tuo giogo sostenni,
ad or ad or nove saette impenni,
ed accendi una ed or un’altra face;
e mi trafigi e mi consumi il core
col mezzo de l’orgoglio di colui,
che tanto gode, quanto altri si more.
Cosí, misera me, tradita fui,
giovane incauta, sotto fé d’Amore;
e doler mi vorrei, né so di cui.
XLIII
«Odio chi m’ama, ed amo chi mi sprezza».
Dura è la stella mia, maggior durezza
è quella del mio conte: egli mi fugge,
i’ seguo lui; altri per me si strugge,
i’ non posso mirar altra bellezza.
Odio chi m’ama, ed amo chi mi sprezza:
verso chi m’è umíle il mio cor rugge,
e son umil con chi mia speme adugge;
a cosí stranio cibo ho l’alma avezza.
Egli ognor dá cagione a novo sdegno,
essi mi cercan dar conforto e pace:
i’ lasso questi, ed a quell’un m’attegno.
Cosí ne la tua scola, Amor, si face
sempre il contrario di quel ch’egli è degno:
l’umil si sprezza, e l’empio si compiace.