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i - terze rime 289

XVI

Della signora Veronica Franca

Ad un malèdico, che l’ha con suoi versi oltraggiata, risponde a lungo, e ribatte le ingiurie, che colpivano la condizione di lei.

     D’ardito cavalier non è prodezza
(concedami che ’l vero a questa volta
io possa dir, la vostra gentilezza),
     4da cavalier non è, ch’abbia raccolta
ne l’animo suo invitto alta virtute,
e che a l’onor la mente abbia rivolta,
     7con armi insidiose e non vedute,
a chi piú disarmato men sospetta,
dar gravi colpi di mortai ferute.
     10Men ch’agli altri ciò far poi se gli aspetta
contra le donne, da natura fatte
per l’uso, che piú d’altro a Tuoni diletta:
     13imbecilli di corpo, ed in nulla atte
non pur a offender gli altri, ma se stesse
dal difender col cor timido astratte.
     16Questo doveva far che s’astenesse
la vostra man da quelfaspre percosse,
ch’ai mio feminil petto ignudo impresse.
     19Io non saprei giá dir onde ciò fosse,
se non che fuor del lato mi traeste
Tarmi vostre del sangue asperse e rosse.
     22Spogliata e sola e incauta mi coglieste,
debil d’animo, e in armi non esperta,
e robusto ed armato m’offendeste;
     25tanto ch’io stei per lungo spazio incerta
di mia salute; e fu da me tra tanto
passion infinita al cor sofferta.