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i - rime d'amore | 23 |
XXXVI
Perché non è mite e clemente con lei?
Cesare e Ciro, i vostri fidi spegli,
in cui mai sempre, signor, vi mirate,
poi ch’a seguir le lor chiare pedate
par che ciascun di lor v’infiammi e svegli,
perché, sí come è stato questi e quegli
essempio di clemenzia e di pietate,
solo in questa virtú v’allontanate
da que’ due chiari ed onorati vegli?
Perché non sète voi mite e clemente
a me vostra prigion, vostra fattura,
come fûr essi a l’acquistata gente?
Anzi forse voi sète di natura
mite con tutti, e meco solamente
d’aspra e spietata. Oh mia somma sventura!
XXXVII
Loda l’«altero nido» dov’egli nacque.
Altero nido, ove ’l mio vivo sole
prese da prima il suo terreno incarco;
onde però va piú leggero e scarco
di quel che da tutt’altri andar si suole;
i’ vorrei dir, ma non so far parole
di tanti e tanti pregi, onde sei carco;
perché lo stil a l’alta impresa è parco,
e via piú a chi t’onora entro e ti cole.
Perciò mi taccio, e prego ’l ciel che sempre
ti serbi in questo lieto e vago stato,
in queste care e graziose tempre;
e renda ognor piú chiaro e piú lodato
il tuo signor e mio, e ch’i’ mi stempre
sempre nel mio bel foco alto e pregiato.