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i - rime d'amore 21


XXXII

Non teme la pena amorosa, ma la fine di essa.

     Per le saette tue, Amor, ti giuro,
e per la tua possente e sacra face,
che, se ben questa m’arde e ’l cor mi sface,
e quelle mi feriscon, non mi curo;
     quantunque nel passato e nel futuro
qual l’une acute, e qual l’altra vivace,
donne amorose, e prendi qual ti piace,
che sentisser giamai né fian, né fûro;
     perché nasce virtú da questa pena,
che ’l senso del dolor vince ed abbaglia,
sí che o non duole, o non si sente appena.
     Quel, che l’anima e ’l corpo mi travaglia,
è la temenza ch’a morir mi mena,
che ’l foco mio non sia foco di paglia.


XXXIII

Sará egli mai pietoso verso di lei?

     Quando sarete mai sazie e satolle
del lungo strazio mio, de le mie pene,
luci, assai piú che ’l sol chiare e serene,
ch’ora illustrate il vostro amato colle?
     Quando fia che non sia di pianto molle
il petto mio, ch’a gran pena sostiene
l’anima fuggitiva, or che la spene,
ch’era sí poca, ancora Amor ne tolle?
     Quando fia che vi vegga un dí pietose,
e duri la pietá vostra, e non manchi
tosto, come le lievi e frali cose?
     O non fia, lassa, mai, o saran bianchi
questi crin prima, e quei sensi amorosi,
accesi or sí, saranno freddi e stanchi.