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i - terze rime | 251 |
VII
D’incerto autore
Un amante, non corrisposto da Veronica, si lamenta della crudeltá di lei, e la supplica umilmente di riamarlo, invocando l’aiuto d’Amore.
Dunque l’alta beltá, ch’amica stella
con si prodiga mano in voi dispensa,
d’amor tenete e di pietá rubella?
4Quell’alma, in cui posando ricompensa
di molt’anni l’error la virtú stanca,
dar la morte a chi v’ama iniqua pensa?
7Lasso, e che altro a far del tutto manca
orribile ed amara questa vita,
e rovinosa in strada oscura e manca,
10se non che sia col mal voler unita
d’una bellezza al mondo senza eguale
la forza insuperabile, infinita?
13Ma perché da l’inferno ancor non sale
Tesifone e Megera ai nostri danni,
se scende a noi del ciel cotanto male?
16Ben sei fanciul piú d’ingegno che d’anni,
Amor, e d’occhi e d’intelletto privo,
se ’l tuo regno abbandoni in tanti affanni.
19Te, cui non ebbe di servir a schivo
Giove con tutta la celeste corte,
e ch’a Dite impiagar festi anco arrivo;
22te, del cui arco il suon vien che riporte
spoglie d’innumerabili trofei,
contra chi piú resiste ognor piú forte;
25te, cui soggetti son gli uomini e i dèi,
non so per qual destin, fugge e disprezza,
con la mia morte ne le man, costei.