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i - terze rime 249

V

Della signora Veronica Franca

Non ama piú colui, che la prese con la beltá sua caduca; ora la ragione, vinto il senso, la fa desiderosa di riawicinarsi all’uomo virtuoso, da lei trascurato per quello.

     Signor, la virtú vostra e ’l gran valore
e l’eloquenzia fu di tal potere,
che d’altrui man m’ha liberato il core;
     4il qual di breve spero ancor vedere
collocato entro ’l vostro gentil petto,
e regnar quivi, e far vostro volere.
Quel ch’amai piú, piú mi torna in dispetto,
né stimo piú beltá caduca e frale,
e mi pento, ché giá n’ebbi diletto.
     10Misera me, ch’amai ombra mortale,
ch’anzi doveva odiar, e voi amare,
pien di virtú infinita ed immortale!
     13Tanto numer non ha di rena il mare,
quante volte di ciò piango: ch’amando
fral beltá, virtú eterna ebbi a sprezzare.
     16II mio fallo confesso sospirando,
e vi prometto e giuro da dovero
mandar per la virtú la beltá in bando.
     19Per la vostra virtú languisco e péro,
disciolto ’l cor da quell’empia catena,
onde mi avolse il dio picciolo arciero:
     22giá segui’ M senso, or la ragion mi mena.