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iii - rime di vinciguerra di collalto | 227 |
E dico: — O tetti illustri, o benigne acque,
vi fu a gara cortese ogni pianeta
quell’ora santa e lieta,
che vi fe’ chiari di cotanto lume.
In vista riverente e mansueta
la bella imago a tutto il mondo piacque,
ché il giorno, ch’ella nacque,
venne in terra ogni grazia, ogni costume. —
E con questo mirando i fior diversi,
ch’un paradiso sembra di vaghezza,
parmi propio veder il mio tesoro,
u’ con la mente adoro,
quasi lui, quei fior bianchi e gialli e persi;
ma, scosso de l’error, tosto m’aveggio
che voi lo possedete, ed io vaneggio.
E, raddoppiando le querele e i gridi,
ingombro l’aria de sospir di foco,
e il mio destino invoco
maligno, inesorabile, protervo;
e maledico ogni creato loco,
ov’ogn’altro fuor ch’ei solo s’annidi;
e con orribil stridi
mi disfaccio, disosso, spolpo e snervo.
Poi vòlto in fuga, come offeso cervo
da stral nel fianco, i’ corro ove mi mena
il furor e ’l martír, né so a qual passo:
e di viver piú, lasso,
bramar non oso in sí gravosa pena.
Pur col sperar pietá da lui lontano
il corso fermo, e in parte il mio mal sano.
Canzon, s’omai piú troppo a venir tarda
qualche soccorso al discontento core,
io morirò di doglia e non d’amore.