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i - rime d'amore | 17 |
XXIV
Benedetti i martiri d’Amore, per i diletti che esso dá!
Vengan quante fûr mai lingue ed ingegni,
quanti fûr stili in prosa, e quanti in versi,
e quanti in tempi e paesi diversi
spirti di riverenza e d’onor degni;
non fia mai che descrivan l’ire e’ sdegni,
le noie e i danni, che ’n amor soffersi,
perché nel vero tanti e tali fêrsi,
che passan tutti gli amorosi segni.
E non fia anche alcun, che possa dire,
anzi adombrar la schiera de’ diletti
ch’Amor, la sua mercé, mi fa sentire.
Voi, ch’ad amar per grazia sète eletti,
non vi dolete dunque di patire;
perché i martír d’Amor son benedetti.
XXV
Vuol liberarsi da lui, e poi disvuole.
— Trâmi — dico ad Amor talora — omai
fuor de le man di questo crudo ed empio,
che vive del mio danno e del mio scempio,
per chi arsi ed ardo ancor, canto e cantai.
Poi che con tanti miei tormenti e guai
sua fiera voglia ancor non pago od empio,
o di Diana avaro e crudo tempio,
quando del sangue mio sazio sarai? —
Poi torno a me, e del mio dir mi pento:
sí l’ira, il rimembrar pur lui, mi smorza,
che de’ miei non vorrei meno un tormento.
Con sí nov’arte e con sí nova forza
la bellezza ch’io amo, e ch’io pavento,
ogni senso m’intrica, offusca e sforza.