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222 | appendice |
II
Effetti mirabili della vista della sua donna.
Nel fiammeggiar de la vermiglia Aurora,
per farmi lieto, a la stagion novella
la mia vaga e leggiadra pastorella
esce col gregge del suo albergo fuora.
Allor tra’ bei crin d’òr scherza fresca ôra,
e verdeggia a le piante erbetta bella;
e a lo splendor de l’una e l’altra stella
ogni cosa creata s’innamora.
Per mirarla i ruscei copron le sponde,
denso nembo le fa l’aria d’intorno,
stan chini i monti, immobili le fronde.
Sorge Febo e n’adduce il chiaro giorno,
quand’io dico, ed a un punto ella risponde:
— O dolci baci, o breve, o bel soggiorno!
III
Rivedendo l’amata.
È questo il petto, Amor, a cui mi resi
il dí che m’assalisti al primo assalto?
Son questi i bei rubini e ’l bianco smalto,
che mi tolsero il core, e nol contesi?
Son questi gli occhi, anzi i due soli accesi,
che mi vinser, ferendo or basso or alto?
Son questi i lacci, ch’io prigione essalto,
de’ bei capelli in vari modi appresi?
È questa l’armonia, questo il concento
de le parole angeliche e beate,
de’ quai rimasi ardente fiamma al suono?
È questo il vago, allero portamento?
Son queste l’accoglienze a me giá usate?
Quelle son pur, se fuor di me non sono.