Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
218 | appendice |
VI
Ad Elena, perché abbia pietà di lui.
Elena, poi ch’il pianto e le parole,
ch’io spargo ognor per farvi forse umíle,
vanno crescendo, e mai non cangia stile
l’eccessivo splendor del vostro sole,
che non m’abbagli e struga come sòle
l’altiero sguardo a cui non è simíle
(ch’ogni vago, ogni bello, ogni gentile
si scorge ne le luci oneste e sole);
dolce pietà di me v’allacci e prenda,
ché gli occhi stanchi non versan piú pianto,
né la voce sfogar può il suo dolore.
Chi mi tolse il mio ben, prego mel renda;
ché il lagrimare e sospirar cotanto
in sempiterni danni ha chiuso il core.
VII
A Girolamo Muzio, in lode di Elena.
Muzio, se di saper pur hai disio
qual sia il mio stato, e di qual alma vivo,
Elena è pur colei che mi tien vivo,
e cresce e scema il mio dolce disio;
ché non avrò giamai piú bel disio,
fin che ’l cielo terrà il mio spirto vivo;
né d’altro bramo, che restar qui vivo,
acciò che per pietà cresca il disio;
e gli occhi suoi leggiadri tôr a morte,
quand’ella partirà di questa vita,
e cantando sfogar mia acerba morte,
acciò che ’l canto si rimanga in vita,
ed altèra non vada l’empia morte,
ch’ella qui resti in sempiterna vita.