Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
212 | appendice |
XXX
Ad un amico, cui non sa lodare come vorrebbe.
L’alto, felice e raro vostro ingegno,
che frutti sí mirabili produce,
e le tante virtuti, onde traluce
la grazia, di che il ciel vi fece degno,
m’han preso sí ch’a riverirvi io vegno;
e del pensier quella mia poca luce
ad inchinarvi ognor sí mi conduce,
come di questa etá vero sostegno.
E, se le forze e ’l mio poter infermo
di quell’alto desio gissero a paro,
che sempre a dir di voi m’invoglia ed ange,
vi farei contra morte e ’l tempo schermo;
e ’l vostro nome eterno, illustre e chiaro,
cantando, renderei dal Tago al Gange.
XXXI
A donna eccellente negli studi.
Donna gentile, il cui purgato inchiostro
de’ piú famosi stili arriva al segno,
ed il cui chiaro e fortunato ingegno
rende gli antichi onori al secol nostro,
non l’oro si di fuor n’adorna e l’ostro,
come voi col dir vago, altero e degno
ornate il mondo; né piú caro pegno
ave Parnaso de lo studio vostro.
Voi, da’ pensier leggiadri alzata a volo,
vi fate eterna, e ’l vostro almo valore
si sparge omai da l’uno a l’altro polo.
Chi dunque fia, che, pien di dolce ardore,
udendo questo, al nome vostro solo
non consacre gli scritti e ’nsieme il core?