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ii - rime di baldassarre stampa 209


XXIV

Al Redentore.

     Figliuol di Dio, che dal paterno scanno
per dar la pace a noi scendesti in terra,
e morendo vincesti l’aspra guerra,
ch’al mondo fe’ l’antico empio tiranno,
     ben giusto fia l’offrirti ogni nostro anno
e lo stato e ’l pensier vòlto sotterra,
poi che solo per te, dove si serra
ogni grazia del ciel, siam fuor d’affanno.
     Non ti spiacque, Signor, farti mortale
per liberarne, e te lasciasti in pegno:
tanto è l’amor, cui nullo stile adegua!
     Onde, se senza te son cieco e frale,
spero aver per pietá misero, indegno,
lume e vigor sí ch’io t’adore e segua.


XXV

A Dio redentore.

     Qual lingua mai potria lodarti a pieno,
alto Signor del ciel, pietoso e forte,
che per serrarne le tartaree porte
non ti spiacque abitar basso terreno?
     Nova pietade al secol d’error pieno
mostrasti in darti a cosí acerba morte;
divine forze in far le genti accorte,
ché, morendo, a Pluton ponesti il freno.
     Fu smisurato amor da l’alta sfera,
ove sei Dio, discender qui per noi,
e farti anco passibile e mortale.
     E pur ti offendo; ma, se i merti tuoi
doni e te stesso a chi pentito spera,
è questo amor, cui stime il senso frale?

G. Stampa e V. Franco, Rime. 14