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208 | appendice |
XXII
Ad un Savina, suo amico.
Savina mio, se voi sapeste quante
lagrime io versi e ’n quale stato i’ viva,
direste ben: — O sfortunato amante,
qual crudeltá d’ogni tuo ben ti priva? —
Misero me, ché quelle luci sante
de la mia donna ritrosetta e schiva,
mi son contese; ond’io son posto in tante
pene, che non è stil che le descriva!
E, se non che per l’alma sua contrada
errando, involo, com’Amor m’insegna,
la sua vaga, serena e dolce vista,
morrei; ma, poi che ’l mal mio sol le aggrada,
d’ogni conforto mio si turba e sdegna.
Cosí il mio vero amor tal merto acquista!
XXIII
Ad un amico che lo conforta.
Mentre che Amor fra speme incerta e tarda,
fra certo affanno e gelido timore
me tiene in forse, e mi tormenta il core,
sí che par che ad un tempo agghiacci ed arda,
non trovo che la doglia aspra e gagliarda
m’acquete altri che voi, del mondo onore,
le cui degne virtuti, il cui valore
non chiude stil, né mente a pieno guarda.
Beato voi, ché ’l dolce, ornato e caro
vostro parlar e i gentil modi alteri
vincer ponno in altrui lo strazio amaro!
Felice me, che negli acerbi e feri
casi ho il conforto vostro unico e raro!
Onde a voi spesso volgo i miei pensieri.