Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
206 | appendice |
XVIII
Angosce amorose.
L’afflitto mio pensier cosí m’ingombra
d’amaro duol, che mi distrugge e sface,
che con gli miei sospir non ho mai pace,
e son fatto di me sol parte ed ombra.
L’alma d’ogni piacer si vede sgombra,
sí che la vita, misero, mi spiace;
i sensi infermi, il cor languido giace,
e gli occhi miei continuo pianto adombra.
Manca il vigor, e nel mio volto appare
segno di morte, e in loco alcun non veggio
rimedio a la mia vita al suo fin corsa.
L’aspro, crudel mio stato, ond’io vaneggio,
e non l’agguaglia stil, potria turbare,
non dico d’uom, ma un cor di tigre e d’orsa.
XIX
L'orgoglio di lei può ucciderlo, non fargliela dimenticare.
Vostro orgoglio, madonna, e ’l vostro sdegno
potrá condur ben la mia vita a morte,
ché a sostentar l’assalto io non son forte
degli occhi ardenti, ai quai neve divegno;
ma non far ch’io pur mostri picciol segno
di aver altrove le mie voglie scorte.
Ché, quando a voi mi dié l’alma mia sorte,
promissi fede, e ’l cor lasciai per pegno;
sí ch’egli, come ostaggio di mia vita,
per mia rebellion sostenerebbe
essilio e fine, ond’io morrei con lui.
Se dunque mai non posso esser d’altrui,
por fine a l’ire omai buono sarebbe;
anzi, se vostro son, datemi aita.