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ii - rime di baldassarre stampa | 205 |
XVI
Si duole di sé e degli affetti suoi discordi.
Io provo giorni tenebrosi e rei,
e doi contrari un sol soggetto accoglie,
perch’io contrasto a le mie proprie voglie,
e non posso voler quel ch’io vorrei.
S’io son cagion degli aspri affanni miei,
lasso, e mi copro di sí gravi spoglie,
onde è che in pianto il cor mi si discioglie?
Ché pianger, s’io consento, non devrei.
Ma, se pur altri star mi fa doglioso,
a che ferir il ciel con gridi alteri,
se ’l sospirar non leva la mia pena?
Che fanno meco omai questi pensieri,
che turbano il mio stato e ’l mio riposo?
E perché la ragion non mi raffrena?
XVII
Vedendola, tempra l’affanno, che soffre in amarla.
Lasso, ben so che ’l mio crudel martíre
avanza ogn’altra pena, ogni lamento;
ma, perché l’alma il piú pianga e sospire,
d’esser tuo servo, Amor, giá non mi pento;
ché quante volte a me veggio apparire
la bella donna, onde al mio mal consento,
ratto mi corre al cor tanto gioire,
ch’io dico: — Or m’è soave ogni tormento. —
Cosí, la doglia e gli angosciosi affanni
temprando, par che tutto mi conforte
la dolce vista, ch’io ringrazio e lodo.
Ed invaghito io son sí de’ miei danni,
ch’io voglio anzi per questa oltraggio e morte,
che viver lieto in alcun altro modo.