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198 appendice


II

Non sa ritrarre la bellezza di lei.

     S’a l’ardente desio, ch’a dir mi spinge,
non risponde lo stil, se ’l bel soggetto
la lingua in queste carte non dipinge,
da voi, donna, procede il mio difetto.
     La beltá, ch’ogni senso annoda e stringe,
di leggiadri sembianti almo ricetto,
è tal, che giú dal suo seggio sospinge
ogni arte, ogni natura, ogni intelletto.
     Io non ho da volar tanto alto piume,
né pur la mente il ver, pensando, acquista;
anzi par ch’al principio si consume:
     come, abbagliando, il sol gli occhi contrista,
e quanto ei rende piú vivo il suo lume,
tanto chi il mira men serba la vista.


III

Ella non lo faccia morire.

     Frena, mio bene, i lumi tuoi lascivi,
ché ’l tuo dolce guardar mi cangia in sasso;
ma non tener, ti prego, il viso basso,
ché mi fanno morir gli occhi tuoi schivi.
     Tempra, deh tempra i raggi ardenti e vivi,
ch’io mi consumo e gli occhi in terra abbasso;
ma, se ’l tuo cenno fai pietoso, ahi lasso,
me per troppo sperar di vita privi.
     Né mai bagnar di lagrime ti piaccia
le tue serene luci, acciò che allora
di tenerezza e duol non mi disfaccia.
     Ma, se ’l vederti in ogni via m’accora,
forse io dirò che la tua bella faccia
m’ascondi? Ah non, ma fa’ sí ch’io non mora.