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XVIII

Egli è il sole, a cui ella si rischiara.

     Quando i’ veggio apparir il mio bel raggio,
parmi veder il sol, quand’esce fòra;
quando fa meco poi dolce dimora,
assembra il sol che faccia suo viaggio.
     E tanta nel cor gioia e vigor aggio,
tanta ne mostro nel sembiante allora,
quanto l’erba, che pinge il sol ancora
a mezzo giorno nel piú vago maggio.
     Quando poi parte il mio sol finalmente,
parmi l’altro veder, che scolorita
lasci la terra andando in occidente.
     Ma l’altro torna, e rende luce e vita;
e del mio chiaro e lucido oriente
è ’l tornar dubbio e certa la partita.


XIX

Ella scopre in lui sempre nuove virtú.

     Come chi mira in ciel fisso le stelle,
sempre qualcuna nova ve ne scorge,
che, non piú vista pria, fra tanti sorge
chiari lumi del mondo, alme fiammelle;
     mirando fisso l’alte doti e belle
vostre, signor, di qualcuna s’accorge
l’occhio mio nova, che materia porge,
onde di lei si scriva e si favelle.
     Ma, sí come non può gli occhi del cielo
tutti, perch’occhio vegga, raccontare
lingua mortal e chiusa in uman velo,
     io posso ben i vostri onor mirare,
ma la piú parte d’essi ascondo e celo,
perché la lingua a l’opra non è pare.