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192 | appendice |
X
Di Benedetto Varchi a Giorgio Benzone.
Benzon, se ’l vero qui la fama narra,
che cosí chiara e cosí trista suona,
terra è, lasso, tra voi la bella e buona
Saffo de’ nostri giorni, alta Gasparra.
Onde ogni saggio o buon di questo innarra
secolo ancor peggiore, e in Elicona
Febo tra ’l sí e ’l no seco tenzona,
come chi suo gran mal paventi e garra.
E ben sarebbe la piú viva lampa
spenta d’Apollo, e ’l piú leggiadro fiore
di virtú secco al suo maggior vigore.
O d’ogni gran valor segnata Stampa,
la cerva e ’l corvo lungo tempo scampa,
ma ’l cigno tosto e la colomba more.
XI
Del medesimo allo stesso.
Ben diss’io ’l ver, ch’alia colomba e al cigno
breve spazio di vita il ciel prescrive,
ma ’l corvo sempre e la cornice vive,
e ’l serpe, o s’altro è piú ver’ noi maligno.
O piú d’altro ancor mai duro e ferrigno
secol, che d’ogni ben te stesso prive,
chi fia, ch’onori piú le caste dive,
o creda Febo a’ suoi largo e benigno,
se ’l primo e piú bel fior d’ogni virtute
n’ha, quando piú splendea, svelto e reciso
lei, che cieca sua falce attorno gira?
Pianga mesta la terra; e ’l paradiso,
Benzon, lieto s’allegri, che rimira
cose sí rare, anzi non mai vedute.