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ii - rime varie 181


CCCVI

Sullo stesso argomento.

     Signor, che doni il paradiso e tolli,
doni e tolli a la molta e poca fede
(per opre no, ch’a sí larga mercede
sono i nostri operar deboli e folli),
     da’ tuoi alti, celesti e sacri colli,
ov’è ’l soggiorno tuo proprio e la sede,
china gli occhi al mio cor, che mercé chiede
del suo fallir co’ miei umidi e molli.
     E, perché suol la tua grazia sovente
abuondare, ove il fallo è via maggiore,
per mostrar la tua gloria maggiormente,
     nel petto mio, ricetto d’ogni errore,
entra col foco tuo vivo ed ardente,
e, spento ogn’altro, accendivi il tu’ amore.


CCCVII

Spera nel soccorso divino.

     — Volgi a me, peccatrice empia, la vista —
mi grida il mio Signor che ’n croce pende;
e dal mio cieco senso non s’intende
la voce sua di vera pietá mista,
     sí mi trasforma Amor empio e contrista,
e d’altro foco il cor arde ed accende;
sí l’alma al proprio e vero ben contende,
che non si perde mai, poi che s’acquista.
     La ragion saria ben facile e pronta
a seguire il suo meglio; ma la svia
questa fral carne, che con lei s’affronta.
     Dunque apparir non può la luce mia,
se ’l sol de la tua grazia non sormonta
a squarciar questa nebbia fosca e ria.