Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
174 | gaspara stampa |
Infelici noi povere e meschine,31
serve di vanitá, figlie del mondo,
lontane, aimè, da l’opre alte e divine!
Altre per far il crin piú crespo e biondo34
provan ogn’arte e trovan mille ingegni,
onde van de l’abisso l’alme al fondo.
Infelice quell’altra move a’ sdegni37
il marito o l’amante, e s’affatica
di tornar grata e far che lei non sdegni.
Ad altri piú che a se medesma amica,40
quella con acque forti il viso offende,
de la salute sua propria nimica.
Infelice colei, che sol attende43
da mezzo dí, da vespro e da mattina,
e tutto ’l giorno a la vaghezza spende;
per parer fresca, bianca e pellegrina46
dorme senza pensar de la famiglia,
e negli empiastri notte e dí s’affina!
Infelice quest’altra de la figlia47
grande, che per voler darle marito,
senza quietar giamai, cura si piglia!
E, perché al mondo ha perso l’appetito,50
non fa se non gridar, teme e sospetta
de l’onor suo che non gli sia rapito.
Infelice qualunque il frutto aspetta53
de’ cari figli, e sta con questa speme,
lagrimando cosí sempre soletta!
Questo l’annoia poi, l’aggrava e preme,56
che misera da lor vien disprezzata,
e di continuo ne sospira e geme.
Infelice chi sta sempre arrabbiata,59
e col consorte suo non ha mai posa,
mesta del tutto, afflitta e sconsolata!
Tropp’accorta al suo mal, vive gelosa,62
e col figliuolo suo spesso s’adira,
non gusta cibo mai, mai non riposa.