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CCLXXV

A Leonardo Emo.

     Qual a pieno potrá mai prosa o rima
la vostra cortesia lodar e l’arte,
quella, ch’a me di lode dá tal parte,
questa, ch’orna ed illustra il nostro clima?
     Voi sète sol, signor, se ’l ver si stima,
cui altri non pareggia; in voi ha sparte
le grazie il ciel, ch’altrove non comparte
in questa nostra etade o ne la prima.
     Voi sète il Sol, ch’ogn’altra luce avanza;
da voi si prende qualitate e lume
e tutto quel di ben, che splende in nui.
     Felice me, poi c’ho trovato stanza
ne la vostra memoria, per costume
usa a far viver dopo morte altrui.


CCLXXVI

Allo stesso.

     Ben posso gir de l’altre donne in cima
fin dove il sole a noi nasce e diparte,
poi ch’io son scritta da le vostre carte,
Emo, e polita da la vostra lima.
     Il chiaro Achille ebbe la spoglia opima
d’onor fra gli altri gran figli di Marte,
non perché fusse tale egli in gran parte,
ma perché Omero lui alza e sublima.
     In me è sol amor, e disianza
di ber de l’acque del Castalio fiume,
ove voi spesso ed io ancor non fui.
     Se questo onesto mio disir s’avanza,
se un dí m’infonde Apollo del suo nume,
andrò lodando queste rive e vui.