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ii - rime varie | 153 |
CCLXV
Per un guerriero, ucciso ad una festa.
Il gran terror de le nimiche squadre,
che sotto il piú felice imperadore
frenò sí spesso il tedesco furore,
fatto ribelle a la sua santa madre,
come hai potuto tu, celeste Padre,
veder degli anni suoi nel piú bel fiore,
fra donne imbelli, empia mercé d’Amore,
cader per man servili, indegne et adre?
Marte il suo bellicoso orrido carme
cangi in sospiri omai, e con lui chiuda
sotterra i suoi trofei, l’insegne e l’arme;
o d’esse almen la bella amica ignuda,
Venere sua, come piú degna, n’arme,
poi ch’ella è piú di lui sanguigna e cruda.
CCLXVI
Lodi ad un incerto.
Se da’ vostr’occhi, da l’avorio ed ostro,
ond’Amor manda fuor faci e quadrella,
se dai tesor de l’anima, ch’ancella
nacque d’alto valor nel divin chiostro,
ciò ch’io scrissi e cantai mi fu dimostro,
per lor d’ogn’atto vil tornai rubella,
e, se mercé di quelle e mercé d’ella,
col tempo avaro e con gl’ingegni giostro,
a voi deve ogni lingua dotta e chiara
rendervi lode, poi che ’n voi s’accoglie
virtú, che ’l fosco mio sgombra e rischiara.
A voi de’ morte, che tutt’apre e scioglie,
non esser come agli altri empia ed amara,
e ’l mondo ornarvi il crin di doppie foglie.