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i - rime d'amore | 101 |
CLXXXV
Sarebbe meglio, per lei, morire.
Io penso talor meco quanto amaro
fôra il mio stato, se per qualche sdegno,
o per stimarsi il mio signor piú degno,
mi ritogliesse il suo bel lume e chiaro;
e mi risolvo che 'l vero riparo,
quando ad essaminar ben tutto vegno,
per finire i miei mal tutti ad un segno,
saria di morte il colpo aspro ed avaro.
Ché, s’io restassi in vita, gli occhi e ’l core,
la speranza, il disio mi farian guerra,
che prendon sol da lui ésca e vigore;
dove, s’io fossi morta e posta in terra,
si porria fin ad un tratto al dolore,
ch’è vita morte che piú morti atterra.
CLXXXVI
Che avverrá di lei, s’egli sará d’un’altra?
— Che fia di me — dico ad Amor talora, —
poi che del mio signor gli occhi sereni
lasseran questi miei di pianto pieni,
fatto esso d’altri infin a l’ultim’ora?
— Che fia di me — mi rispond’egli allora, —
ch’arco e saette e faci e teme e speni
tengo in quegli occhi, e tutti altri miei beni,
né mai ritrarli io ho potuto ancora?
D’indi soglio infiammar, d’indi ferire;
or, se come tu di’, ce li ritoglie,
caduta è la mia gloria e ’l nostro ardire. —
In queste amare e dispietate voglie
restiam noi due, ed ei segue di gire
carco e superbo de le nostre spoglie.