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CLXXV
E lo mira e lo ascolta piú intenta, or che deve partire.
Quasi uom che rimaner de’ tosto senza
il cibo, onde nudrir suol la sua vita,
piú dell’usato a prenderne s’aita,
fin che gli è presso posto in sua presenza;
convien ch’innanzi a l’aspra dipartenza
ch’a sí crudi digiuni l’alma invita,
ella piú de l’usato sia nodrita,
per poter poi soffrir sí dura assenza.
Però, vaghi occhi miei, mirate fiso
piú de l’usato, anzi bevete il bene
e ’l bel del vostro amato e caro viso.
E voi, orecchie, oltra l’usato piene
restate del parlar, ché ’l paradiso
certo armonia piú dolce non contiene.
CLXXVI
Egli gode di tormentarla, anziché ucciderla.
Se voi vedete a mille chiari segni
che tanto ho cara, e non piú, questa vita,
quant’è con voi, quant’è da voi gradita,
ultimo fin de tutti i miei disegni,
a che pur con nov’arte e novi ingegni
darmi qualche novella aspra ferita,
tramando or questa, or quella dipartita,
quasi ogni pace mia da voi si sdegni?
Se volete ch’io mora, un colpo solo
m’uccida, sí ch’omai si ponga fine
al dispiacervi, al vivere ed al duolo;
perché cosí sta sempre sul confine
di morte l’alma, e mai non prende il volo,
pensando pur a voi, luci divine.