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dalle vele colorate; e si scorgevano in certi punti fin le rive opposte.

Non polendosi lanciare alla corsa su quel terreno difficile, i cavalieri discorrevano ad alta voce, e il tema de’ lor discorsi era sempre il medesimo: la politica o quindi la guerra, le battaglie vinte o perdute, i fatti d’armi meravigliosi; poi, le intenzioni riposte e ambiziose del Buonaparte: il suo temerario coraggio e le sue crudeltà; la sua gloria o le sue perfidie. E infine, sempre fissa nelle menti come un chiodo piantato nel cervello, Venezia, e la tremenda minaccia che pesava sul suo destino, o la radiosa speranza: a morte o la vita: la gloria o l’infamia.

Bianca si era avvicinata ad Elena spinta da una segreta simpatia. Parlavano di quelle campagne, dei campagnoli che vedevano lavorare qua e là; e di quelle donne che strappavano le erbacce di mezzo al grano.

— Sono di stirpe italiana? — domandò la Verlier.

— Questi sì, sono italiani; e i più abitano in paese. Più in là, nelle campagne troveremo i contadini di razza slava, che non vengono quasi mai al paese e vestono ancora il loro costume nazionale. Sono slavi di diverse schiatte, schiavoni, savrini, morlacchi.... e che so io. Parlano peraltro quasi tutti un po’ d’italiano, per farsi intendere